Il modello di Stalin

Il modello di Stalin

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Traduzione dal russo di Davide Spagnoli

Presentiamo per la prima volta in Italia, un bellissimo documentario sull’edificazione del socialismo in URSS sotto la direzione del compagno Stalin. Questa è la prima puntata di tre. Seguiranno le altre due. Naturalmente si fornisce la traduzione del testo in italiano.

Legame alla pagina del documentario

Legame alla traduzione in italiano

 

Quando Guiboud Ribaud visitò le prigioni sovietiche.

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Di Luca Baldelli

La denigrazione e la demonizzazione di Gulag e prigioni sovietiche ha toccato vette inarrivabili, che solo una paziente opera di controinformazione riesce in parte a contrastare, in presenza di un’assoluta asimmetria di mezzi e possibilità per farsi sentire ed ottenere tribune adeguate onde consentire all’opinione pubblica di farsi la sua idea, libera e senza pregiudizi, nella verità e non in odio ed in contrasto ad essa. Per decenni si è parlato di milioni, decine di milioni di Sovietici finiti nelle fauci mai sazie di Gulag danteschi e prigioni lovercraftiane. Un esercito di senza nome, di schiavi, di iloti spacciati per veri dalla storiografia capitalista e borghese. Son bastati pochi storici, per giunta spesso anche anticomunisti, per vedere che nei documenti degli archivi sovietici, peraltro apertamente manipolati con l’avvento del gorbaciovismo e, soprattutto, col crollo dell’URSS, era nascosta una verità ben diversa: meno detenuti che nei mitici States e nessun regime concentrazionario da Babilonia dei tempi biblici o da hitlerismo conclamato. L’impossibile equazione tra “stalinismo” e nazionalsocialismo, ancora una volta appariva per quello che era e stavolta col conforto di numeri inoppugnabili: una vile impostura! Zemskov ed altri storici, tutti anticomunisti, liberal – democratici o indipendenti, si incaricavano di dimostrare il contrario di quel che invece sostenevano (e sostengono) trockisti e finti comunisti revisionisti.

Sarebbe bastato leggere fonti coeve, e tutte OCCIDENTALI, del resto, per rendersi conto che la storia era ben altra.

Una di queste fonti riguardava un noto avvocato francese, Guiboud Ribaud. Costui, nel 1927, espresse il desiderio di far visita alle prigioni dell’URSS, per rendersi conto di persona della situazione. Qualsiasi governo o regime che avesse avuto interesse a nascondere qualcosa, gli avrebbe o chiuso le porte o aperte solo quelle preventivamente mondate da catenacci lordi di sangue e sudore. Nulla di tutto ciò avvenne per il principe del foro francese: egli poté avere subito, telefonicamente, un elenco di centinaia di prigioni dal Commissariato DEL popolo per la giustizia della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa e poté scegliere tutte quelle che più gli interessavano. Varcate le soglie delle prigioni prescelte, trovò un mondo per lui sorprendente: non galeotti con palle a calcagna logore e stremate, ma persone di più nazionalità che camminavano per i corridoi, sorseggiavano del tè, conversavano serenamente. Nessun idillio, ma nemmeno l’inferno da tanti millantato. Ne uscì un’opera: “Ou va la Russie?” ( Parigi 1927), con un bel capitolo, il SETTIMO, dedicato ai penitenziari.

L’opera era recensita e prefata dal grande Henri Barbusse (1873-1935), sincero amico dell’URSS e grande intellettuale francese, conterraneo di Guiboud-Ribaud.

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Henri Barbusse

L’aspetto più interessante, o comunque uno dei più significativi del libro, è senza dubbio la narrazione della sorpresa derivante dal vedere individui che, condannati alla pena capitale per delitti e reati politici, si erano visti le pene drasticamente ridotte per merito della dialettica processuale, aspetto questo sempre negato dai detrattori dell’URSS, per i quali nemmeno gli avvocati sarebbero esistiti nella grande Unione dei Soviet. Mentre i Tribunali fascisti esiliavano e condannavano a morte, in Urss si redimeva e si lavorava per la correzione ed il recupero sociale del reo. L’avvocato francese, venuto in Urss con sincera voglia di capire, ma anche con in testa tanti motivi ricorrenti della propaganda antisovietica, se ne tornò al suo Paese completamente convinto della verità che aveva visto e che era, per sé stessa, indiscutibile. Egli si attirò l’odio e l’ostilità di tanti bugiardi e mediocri, ma la stima di tutti gli uomini sinceramente obiettivi, democratici, senza paraocchi. Dopo di lui, sarà la volta di Lenka Von Koerber e di tanti altri scrittori, studiosi, sociologi, i quali visiteranno le carceri sovietiche, trovando dinanzi ai loro occhi prigionieri più liberi dei cittadini liberi dei Paesi capitalisti, i quali lavoravano percependo il salario degli operai liberi e godendo di condizioni premiali assolutamente invidiabili. M. S. Callcott, negli USA, riuscirà a mandare alle stampe nel 1935 “Russian Justice“, nel quale parlerà di questo e di altri aspetti, mettendo in rilievo, senza apologie e senza incensi, la superiore (oggettivamente) realtà della civiltà sovietica.

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Lenka von Koerber

Una civiltà dove l’ingegner Ramzin, condannato nel processo del PARTITO INDUSTRIALE, non fu tenuto sempre in prigione, ma portato nell’aula dove dava lezioni, da solo o sotto scorta.

In quegli stessi anni, gioverà ricordarlo, i detenuti dei Paesi capitalisti e fascisti, segnatamente i politici, languivano tra la fame e la tisi nelle galere di sterminio alle quali i fantocci politici del grande capitale li inviavano.

FONTI

Sidney e Beatrice Webb, Il comunismo sovietico: una nuova civiltà, Torino, Einaudi, 1950

P. Guiboud Rubaud, Ou va la Russie,  Paris, Editions sociales internationales, 1928

Lenka von Koerber, Soviet Russia fights crime, London, E.P. Dutton and Co, 1935

Mary Stevenson Callcott,  Russian Justice, New York, Macmillan, 1935

 

 

 

La Repubblica popolare polacca prima dell’esplosione di Solidarnosc. Note di vita quotidiana in omaggio alla verità storica

La Repubblica popolare polacca prima dell’esplosione di Solidarnosc. Note di vita quotidiana in omaggio alla verità storica
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Di Luca Baldelli

Se ne dicono tante sul socialismo reale, ad un punto tale che, ormai, si è persino smarrito il lume orientativo che, solo, può distinguere, illuminandole, la menzogna dalla verità. Quarant’anni di lavaggio del cervello sapientemente orchestrato hanno inculcato nel cervello di molti l’idea di sistemi economicamente inefficienti, burocratici, restii ad ogni innovazione.
Le giovani generazioni, che mai hanno conosciuto quelle esperienze, ripetono il mantra delle bugie con inerziale ritualità, come robot caricati a pile per la bisogna. La Repubblica popolare polacca, nella testa di tanti, è rimasta impressa come esempio negativo per eccellenza; in questo caso, alla propaganda capitalista, imperialista e revisionista si è sommata più che mai, sistematicamente, la crociata dei novelli Goffredo di Buglione del Vaticano, per i quali la Repubblica popolare polacca rappresentava una faglia critica da sollecitare e stimolare, al fine di provocarne il collasso ed il rovesciamento del sistema sociale ed economico.
Ed ecco gli scioperi, alimentati ed incoraggiati da chi, in Occidente, usava i toni più violenti e reazionari nei confronti degli operai che scioperavano contro i capitalisti, i parassiti, le sanguisughe. Gli stessi che in Italia ed altrove parlavano di “sacre compatibilità” dell’ordinamento economico, tali da non sopportare la minima lotta rivendicativa, quelli che nel nostro Paese smantellavano la scala mobile dando ad essa la colpa dell’inflazione (come se il termometro fosse causa della febbre), quando parlavano di Polonia si dichiaravano fieri sostenitori di Solidarnosc, di ogni tipo di sciopero rivendicativo, indetto con le più strumentali motivazioni, di ogni iniziativa volta a bloccare e sabotare la produzione.
I giornali di Agnelli, che in Italia erano la controparte mediatica del Sindacato e della classe operaia, che affibbiavano al termine “sciopero” la stessa valenza semantica della parola “Belzebù”, parlando di Polonia scoprivano ogni volta, sorprendentemente, una passione per gli incitamenti alle interruzioni del lavoro, della produzione, del normale flusso delle attività della.vita associata. Purtroppo, la stampa revisionista non solo non contrapponeva nulla a tale malafede, disonestà e mistificazione sistematica, ma si accodava alle accuse più infamanti, ai peana più assurdi nei riguardi del Kor, di Solidarnosc e dei suoi scherani finanziati da Cia, Vaticano, Massoneria, centrali trotzkiste.
Non è un mistero per nessuno che le banche di Calvi e Gelli servivano da punti di passaggio e da centri propulsori per i denari diretti verso la Polonia a fini di destabilizzazione. E, così, ci si propinava l’immagine di un Paese distrutto dal “comunismo”, piegato dalla crisi economica, dalla fame. Difficoltà, certo, nel 1979/82 ve ne furono, ma a causarle fu proprio l’attività di Solidarnosc e delle centrali eversive antisocialiste ed antisovietiche. Le quali, impunemente (e qui si dovrebbe accusare il sistema di mollezza, non certo di eccessiva forza o di carattere repressivo) scatenarono il caos in un Paese sì con qualche problema, certo, specie in ordine ad un eccessivo indebitamento, favorito peraltro dall’Occidente sovrabbondante di petroldollari in cerca di collocazione sull’arena economica internazionale, ma complessivamente sano, prospero, contraddistinto da elevati livelli di benessere.
Alcuni dati, tratti dagli “Annali” economici degli anni ’70, disponibili in rete ed anche nel sito russo “Istmat”, raccolta assai interessante di documenti, atti ed opere dell’URSS e del socialismo reale, si incaricano di dimostrare la verità di questo assunto. Piuttosto che i dati di carattere macroeconomico, andremo ad individuare i dati dell’economia “quotidiana” dei cittadini, indicatori efficaci ed incontrovertibili del tenore di vita. Nel 1977, anno che rappresenta il miglior indicatore di quanto andiamo dimostrando, il salario medio netto del lavoratore polacco ammontava a 4408 zloty. Tale media era il risultato di calcoli che contemplavano il salario medio mensile del settore statale (4542 zloty), quello del settore cooperativo (3813 zloty), quello dell’industria globalmente intesa (4677 zloty), delle costruzioni (5053 zloty), dell’agricoltura (4506 zloty), del settore scientifico (5285 zloty), del settore sociale e dell’assistenza (3384 zloty) ecc…
In quell’anno, un kg di pane costava 5,40 zloty, un chilo di carne da 30 a 100 zloty (le più care le pregiatissime salsicce di tipo II), un chilo di prosciutto 36 zloty, un chilo di aringhe salate 26 zloty, un chilo di margarina 26 zloty, un chilo di burro di prima scelta 70 zloty, lo zucchero 10,50 zloty, le sigarette senza filtro “SPORT” (pacchetto da 20 pezzi) 6 zloty, 140 cm di tessuto di ottima lana 294 zloty, 140 cm di tessuto sintetico 106 zloty, 90 cm di pregiato tessuto di cotone, in varietà di 4/5 colori, 62 zloty. 1 kWh costava 0,90 zloty, la benzina 9 zloty al litro, il canone TV 40 zloty al mese, il canone radio 15 zloty al mese. Un affitto mensile 3 zloty al metro quadrato (180/200 zloty al mese), il biglietto del treno classe II per 200 km 60 zloty, 108 l’accelerato. Tram: 1 zloty; taglio di capelli in una barbieria di prima classe, 15 zloty. Una radio 1400 zloty, un televisore (indistruttibili questi elettrodomestici!) 6500 zloty.
Il tutto, in un contesto di piena occupazione e di salari crescenti a prezzi pressoché invariati. Un Paese in crisi? Alla luce di tutti questi dati, possiamo affermare che, ancora una volta, le menzogne capitaliste e clericali hanno diffuso i loro veleni, distorcendo la verità storica e persino quella della cronaca. Alla vigilia dell’esplosione di Solidarnosc, la Polonia socialista era un Paese con alcune contraddizioni, diseguaglianze e magari carenze: gli organi del Poup, non solo non lo negavano, peraltro, ma era semmai raro trovare un articolo di giornale, un servizio radiofonico, una relazione nei consessi di Partito, che fosse apologetica e non intrisa di critica. Ciò detto, se in quel contesto si postulava e si postula la necessità di scioperi, nel mondo capitalista di oggi con inflazione nascosta e dilagante, mancanza di ogni prospettiva, precariato come regola, deindustrializzazione spinta, quali lotte occorre allora sostenere?

Il saccheggio del patrimonio industriale dell’URSS (I)

Il saccheggio del patrimonio industriale dell’URSS (I)

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Presentiamo una serie di articoli comparsi sulla stampa russa sul saccheggio banditesco del patrimonio industriale dell’URSS, perpetrato sotto Eltsin e Gorbachev.  Si tratta di traduzioni dal russo ad opera del compagno Davide Spagnoli finora mai comparse in occidente. Ecco la prima pubblicazione di 5:

25 anni di privatizzazione in Russia: cosa resta degli impianti e delle fabbriche del paese?

Articolo tratto dal settimanale: «Аргументы и Факты [Argomenti e Fatti]» № 23 del 07/06/2017

FONTE

Traduzione di Davide Spagnoli

L’Unione Sovietica potrebbe essere definita un paese di fabbriche. Le imprese industriali erano in ogni città. Erano una fonte di vita: hanno dato lavoro, alloggi, permettevano di partorire e allevare figli.
L’URSS era uno dei leader (primo per molti tipi di prodotti) nella produzione industriale nel mondo e produceva autonomamente le attrezzature e le macchine necessarie. Che cosa abbiamo perso e che cosa abbiamo conservato nei 25 anni trascorsi dall’inizio della privatizzazione?

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La fabbrica di Voronez oggi

Cronaca sanguinosa

Il passaggio delle ex proprietà socialiste nelle tasche dei privati non è stata priva di omicidi, il cui apice si è raggiunto all’inizio degli anni ’90.
Quello più sanguinoso è stato lo scontro attorno alla compagnia petrolifera, l’inesauribile rubinetto di oro nero, a cui ci si è attaccati a qualsiasi costo. La sola «Samara Oil» è stata associata a 50 omicidi su commissione. La metallurgia si è rivelata essere la seconda industria per la lunghezza della scia di sangue. Molti omicidi sono rimasti irrisolti.

Ne citiamo solo alcuni: D. Zenshin, direttore di Kuibyshevnefteorgsintez, pugnalato a morte nel 1993; Y. Shebanov, vice direttore di NefSam, colpito a morte nel 1994; F. Lvov, direttore generale di AIOC (alluminio), ucciso nel 1995. V. Tokar, direttore dello stabilimento di metalli non ferrosi (Kamensk-Uralsky), ucciso nel 1996; A. Sosnin, proprietario di diverse fabbriche negli Urali, ucciso nel 1996. O. Belonenko, direttore generale di Uralmash, è stato ucciso nel 2000, e V. Golovlev, deputato della Duma di Stato, secondo una delle versioni, è caduto vittima di un killer nel 2002 per la sua partecipazione alla privatizzazione illegale dell’acciaieria Magnitogorsk.

Nel 2011 l’assassino di V. Pilshchikov è stato condannato a 24,5 anni in un carcere di massima sicurezza. Nel maggio 1995 aveva ucciso l’uomo d’affari di Sverdlovsk A. Yakushev, che era coinvolto nelle privatizzazioni nel 1994-1995 dello stabilimento di lavorazione della carne di Ekaterinburg (EMK). Un anno dopo gli venne ordinato di uccidere A. Sosnin, proprietario di diverse fabbriche degli Urali.

A San Pietroburgo negli anni ’90 solo durante la privatizzazione della JSC «Acciaieria», quattro candidati per questa proprietà sono stati uccisi uno dopo l’altro. Nel 1996 è stato ucciso nel suo ufficio P. Sharlaev, un vero leader della fabbrica di maglieria «Bandiera Rossa», che era Direttore Generale Aggiunto. Riuscì quasi a creare un gruppo finanziario e industriale che avrebbe unito le aziende agricole collettive produttrici di cotone dell’Uzbekistan, le fabbriche di San Pietroburgo e le risorse bancarie. Questo è stato il primo, ma non l’ultimo omicidio di dirigenti di fabbrica.

Negli anni ’90, ai ladri è stato permesso privatizzare i più appetibili pezzi di proprietà dello Stato. I «legislatori» hanno cercato di acquistare pacchetti di azioni e partecipare così alla privatizzazione di varie centrali elettriche, di cartiere come «Voronezhenergo», «Samaraenergo» e «Kurganenergo». Tra gli oggetti che interessavano i mafiosi c’erano «Lenenergo» e il «Porto di San Pietroburgo».

La fabbrica di Voronezh come era
La fabbrica di Voronez com’era

«Malversazione legale»

In URSS la maggior parte delle risorse – materiali e umane – era diretta allo sviluppo dell’industria pesante nazionale. In termini di livello di sviluppo industriale il paese era al secondo posto nel mondo.

«Nel 1990, la RSFSR aveva 30.600 imprese industriali di grandi e medie dimensioni», afferma Vasily Simchera, dottore in economia e professore. «Di queste 4.500 erano grandi ed enormi, con un numero fino a 5.000 occupati ciascuna, che rappresentano oltre il 55% di tutti i lavoratori dell’industria e più della metà della produzione industriale totale. Attualmente, in Russia ci sono solo poche centinaia di imprese del genere».

La creazione di un’industria così potente era un fenomeno naturale. Essendo una superpotenza, l’URSS realizzò progetti su larga scala, e per questi erano necessari prodotti industriali, specialmente prodotti dell’industria pesante.

In URSS il salario dei lavoratori non era una miseria

La RSFSR forniva a se stessa e ad altre repubbliche alleate i principali tipi di prodotti industriali. Nel 1991, l’anno della distruzione dell’Unione Sovietica, la RSFSR ha prodotto 4,5 volte camion in più, 10,2 volte mietitrebbie in più, 11,2 volte macchine per la forgiatura in più, 19,2 volte macchine per il taglio dei metalli in più, 33,3 volte trattori ed escavatori in più, 58,8 volte motocicli in più, 30 volte dispositivi di alta precisione e aerei in più.

La classe operaia industriale aveva superato i 40 milioni di unità, la metà delle quali erano specialisti qualificati. Lavoratori altamente qualificati, tornitori, montatori e manutentori ricevevano stipendi consistenti, che consistevano in salario e bonus per la qualifica (sistema delle categorie). Allo stesso tempo, gli stipendi dei direttori degli impianti non potevano essere superiori a quelli dei lavoratori più retribuiti di queste imprese. All’inizio degli anni ’80 gli stipendi dei migliori specialisti erano di 500-1.000 rubli. Se aggiungete ai vari bonus, la possibilità di un trattamento termale, la priorità nell’assegnazione degli appartamenti e altri ancora, si può affermare che la vita dei lavoratori altamente qualificati in URSS era molto confortevole, e gli stipendi erano paragonabili agli importi dei salari della nomenclatura scientifica: professori universitari e direttori di istituti scientifici. Il pacchetto sociale in URSS convertito in denaro rappresentava circa un terzo in più del valore nominale dello stipendio, tuttavia i volumi e soprattutto la qualità dei servizi differivano a seconda delle categorie di lavoratori. I dipendenti ordinari delle grandi imprese con una struttura sociale sviluppata ricevevano un bonus fino al 50% in più.

Aziende regalate

Oggi nella Federazione russa ci sono appena 5.000 imprese industriali di grandi e medie dimensioni, comprese quelle ex sovietiche. Nel primo anno di privatizzazione, 42.000 imprese (grandi, medie e piccole) sono state trasferite a nuovi proprietari. E solo 12.000 nuove entità economiche sono state create sulla loro base, la maggior parte delle quali hanno poi cessato l’attività.

Pertanto, ho motivo di credere – afferma Vasily Simchera – che la cifra che gira su Internet di 30.000 grandi e medie imprese, senza contare molte piccole, che sono state distrutte da fautori delle privatizzazioni e riformatori e le loro proprietà saccheggiate, sia corretta. Il censimento industriale, su cui ho insistito (e che potrebbe dare un quadro più affidabile) quando ero direttore dell’Istituto di statistica di ricerca di Rosstat, è stato costantemente bloccato da chi era interessato alla privatizzazione dolosa (speculativa) fino ad oggi.

Le fabbriche furono vendute all’asta per una miseria: per esempio, lo stabilimento di Likhachev, che produceva la famosa ZIL, venne venduto per $ 130 milioni, il tesoro ne ricevette 13, mentre un analogo gigante brasiliano fu venduto a un imprenditore privato dal governo brasiliano per $ 13 miliardi. Sibneft, che venne privatizzata per $ 100 milioni, ora vale 26 miliardi di dollari.

Le entrate del tesoro con in buoni di privatizzazione (voucher) ammontavano a 2.000 miliardi di rubli, ovvero 60 miliardi di dollari, che sono la metà dell’importo ricevuto dal bilancio dello Stato dalla privatizzazione nella piccola Ungheria, dove vivono 10 milioni di persone. Secondo le stime, il valore delle proprietà privatizzate è stato sottovalutato di 10 volte e ammontava a 20.000 miliardi di rubli, ovvero 600 miliardi di dollari.
A seguito della privatizzazione, lo sviluppo economico della Russia è ritornato al livello del 1975. Inoltre, il paese ha perso $ 1.500 miliardi.

Pertanto, una revisione dei risultati delle transazioni fraudolente è inevitabile. È necessario che gli attuali effettivi proprietari delle fabbriche privatizzate compensino il danno causato al paese e paghino tutte le tasse dovute al valore reale di mercato della proprietà ricevuta. Oppure che restituiscano il maltolto.

Nome della società

Prezzo di acquisto in milioni di $

Valore di mercato in milioni di $

1. «Norilsk Nichel»

170

15 800

2. « Surgutneftegas »

88,9

11 200

3. Compagnia petrolifera
«
Yukos»

159

29 110

4. Fabbrica meccanica di Kovrov

2,7

828

5. Stabilimento metallurgico di Samara

2,2

78

6. « Uralmash »

3,7

50

7. Stabilimento metallurgico di Chelyabinsk

13,3

1600

8. Fabbrica di trattori di Chelyabinsk

2,2

43

9. Stabilimento siderurgico di Novolipetsky

31

1400

10. Compagnia petrolifera
«Sidanko»

130

16 900

Riforme, «inganno e rapine»

Le riforme dei primi anni ’90 sono spesso indicate come una terapia d’urto, il che significa che si trattava di un trattamento duro ma necessario per l’economia. Si è trattato piuttosto di un intervento chirurgico, in cui si è amputato a morte e senza anestesia. E le conseguenze sono ancora materia di discussione.

Le riforme – continua Vasily Simchera – vengono giudicate in base ai loro risultati. Dalle azioni dell’entourage di Eltsin è chiaro che non si trattava di riforme, ma di pseudo-riforme con chiari segni di furto. Anche questi «riformatori» hanno contribuito al crollo dell’Unione Sovietica, anche se ora stanno cercando di ripudiare quanto da loro fatto. Non riusciranno a farla franca: sono state queste persone che, attraverso la rivista comunista in cui lavorava Yegor Gaidar, hanno lanciato il mito che l’economia sovietica era irriformabile.

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La fabbrica Yantar nel 1983

Da dove proveniva il deficit?

Qual era il vero stato dell’economia sovietica? Negli anni ’70, nel comitato statale per la scienza e la tecnologia dell’URSS, per il Comitato di pianificazione statale, venne creato un sistema nazionale automatizzato per la gestione dell’economia nazionale, una sorta di «Internet dipartimentale». Questo sistema mostrò che nell’economia nazionale non c’erano carenze irrecuperabili, deviazioni dai piani statali, eccetto per quei piccoli insuccessi che iniziarono nell’economia con l’arrivo di Gorbaciov. Ma questi fallimenti erano incomparabili anche con gli attuali migliori anni di sviluppo, per non parlare dei problemi in cui la banda Yeltsin-Gaidar aveva gettato il paese.

Nel paese non c’era sovrapproduzione o deficit, perché l’offerta era in equilibrio con la domanda. La domanda c’era perché la gente aveva soldi: lo stipendio veniva pagato senza i ritardi di oggi. Era più giusto, perché avevamo 2-3 milioni di persone che facevano prodotti non richiesti, e oggi ce ne sono a decine di milioni!

Il deficit è stato creato artificialmente in seguito, proprio per distruggere il paese. Salsicce, zucchero e altri prodotti venivano accumulati nei magazzini e non potevano essere venduti al dettaglio… per ordini dall’alto! E non si trattava della mafia commerciale, che, naturalmente, ha approfittato del momento per rivendere attraverso i propri canali a un prezzo più alto di quello statale. È stato l’ordine americano per la distruzione della nostra economia, che è stato elaborato dal «team di riformatori». È stata una guerra economica volta alla distruzione del paese.

Infografica 1

Ci vuole un cervello eccezionale per fare questo?

Non c’era nessuna riforma. Gaidar lasciava correre i prezzi, Non ci vuole una intelligenza superiore per questo. I veri statisti si sono rifiutati di fare così perché pensavano al benessere del popolo e non volevano condannare la gente alla povertà. E Gaidar ha deciso e ha distrutto tutto, sia i risparmi dei cittadini sovietici che l’economia. Qualsiasi avventuriero può farlo! I prezzi sono aumentati di centinaia di volte. Quali sono i benefici per il paese? Cosa ha fatto la «mano invisibile del mercato»? Dove sono i risparmi dei cittadini forzatamente sequestrati che le autorità stanno cercando di recuperare, ma finora non ci sono riuscite?

I cosiddetti riformatori non hanno risolto i problemi dell’economia, ma hanno solo combattuto contro il comunismo. Allo stesso tempo, non c’era bisogno di combatterlo, perché i comunisti stessi non erano pronti a combattere: la maggior parte dei loro dirigenti erano avidi o deboli.

E il problema principale non è scomparso nell’economia attuale! È la stessa del periodo sovietico… La malattia si chiama «scroccare (appropriarsi indebitamente)» e ha inizio con il blocco delle riforme di Kosygin (Alexei Kosygin – Presidente del Consiglio dei Ministri dell’URSS dalla metà degli anni Sessanta – Ed.), il cui scopo era quello di far transitare le imprese, le fattorie collettive e le istituzioni verso l’autosostentamento e l’autofinanziamento. Purtroppo, la base dell’economia è stata distrutta dai «riformatori», e per rendere l’economia russa potente ed efficiente, sono necessari molti più sforzi che negli anni 60, 80 e persino 90.

Qual era la cosa giusta da fare? Che tipo di riforme erano veramente necessarie?

C’era bisogno di una vera privatizzazione, che coinvolgesse tutti i lavoratori e i dipendenti del paese (compresi gli ex lavoratori). Sulla base di metodologie e standard internazionali, sarebbe stato necessario condurre una verifica per ottenere una valutazione del valore reale di tutte le fabbriche e degli impianti da privatizzare, fino a includere ogni punto vendita. Sarebbe occorso quindi determinare il valore totale delle attività da privatizzare, il numero di azioni con diritto di voto e il prezzo di ciascuna di esse.

Queste azioni di proprietà dovevano essere emesse a favore dei dipendenti esistenti e degli ex dipendenti e dovevano essere disponibili per la rivendita entro un determinato periodo di tempo. In tal modo, le società per azioni sarebbero costituite come entità autosufficienti e capaci di autosostenersi. E solo alla fine di questa fase di riforme si sarebbero potuti introdurre gradualmente i prezzi di mercato.

I metodi e i risultati delle ‹«riforme» di Eltsin-Gaidar-Chubais sono ancora criticati da tutti, l’economia russa è stagnante e non ha prospettive. Pertanto, qualunque cosa si possa dire, la restituzione delle proprietà pubbliche brutalmente privatizzate e forzatamente sequestrate è inevitabile. Nessuno può costruire la Russia sull’immiserimento delle persone!

Infografica 2

Al posto delle officine e delle macchine ora ci sono rovine.

Una volta queste fabbriche era piene di vita e il lavoro in pieno svolgimento. Le navi, gli orologi, le gru, ecc. prodotti venivano trasportati pere tutta l’URSS e in tutto il mondo.

Come si sono spartiti la «Yantar»

La fabbrica di orologi di Orlovsky era leader nella produzione di orologi da interno di grandi dimensioni e allarmi. Nel 1976 l’impianto è stato chiamato «Yantar».

Fino a 9.000 persone hanno lavorato nell’Associazione di produzione «Yantar», e i prodotti venivano esportati in 86 paesi del mondo. Ma negli anni ’90 il capo dello stabilimento fu costretto a dimettersi. L’azienda iniziò ad avere problemi con gli stipendi e i dipendenti risposero con manifestazioni di protesta.

– Il nuovo direttore ha distrutto lo stabilimento nel giro di sei mesi. Negli anni ’90 gli uomini d’affari hanno iniziato a pensare prima a se stessi e poi alla loro patria. Per questo motivo non abbiamo quasi nessuna industria ammiraglia rimasta nella regione, che produceva non solo per l’URSS, ma anche per i paesi stranieri, – dice l’ex sindaco di Orla, Efim Velkovsky.

Nel 2004 l’impianto è stato acquistato dalla «АЛМАЗ-ХОЛДИНГ (Diamanti Holding Ltd.)», che ha distribuito la proprietà tra altre società. Per salvare la produzione venne creata la «Янтарь (Yantar) Ltd.». Del precedente collettivo di lavoro 80 dipendenti se ne sono andati, il resto di loro venne licenziato. Invece di sviluppare l’impianto, la nuova società la mise in fallimento. Gli impianti sono stati venduti a prezzi stracciati. La «Янтарь (Yantar) Ltd.» ha cessato di esistere.

Più o meno la stessa sorte è toccata alla Orlex CJSC – l’ex impianto di Orlovsky di aria condizionata e dispositivi di analisi del gas. I dispositivi della Orlex si trovavano nelle miniere, nei frigoriferi delle navi e delle ferrovie, su sottomarini e razzi. Alla fine degli anni ’90 la Orlex è stata trasformata. E hanno iniziato a «ucciderla». Nel 2011 lo stabilimento è stato dichiarato fallito. Gli edifici con una superficie totale di 10 mila metri quadri sono stati venduti al prezzo di 10 mila rubli per metro quadrato! I lavoratori si recavano alle manifestazioni per chiedere il pagamento dello stipendio. Allo stesso tempo, erano stati ricevuti ordini per alcuni prodotti della Orlex dei quali non ne esistevano analoghi in Russia. Nonostante questo, nel 2015, la società ha cessato l’attività.

Chi ha ucciso la «Katyusha»

Nelle officine dell’impianto Comintern di Voronezh venivano prodotti i primi sistemi di artiglieria «Katyusha».

Dopo la Seconda guerra mondiale l’azienda produceva escavatori, gru, caricatori, macchine agricole. E negli anni ’90, insieme all’industria meccanica di Voronezh andò in crisi. A fronte di un volume di commesse durante il periodo sovietico di 1.190 escavatori all’anno, negli anni 2000 la produzione raggiungeva appena le 40 macchine. Tuttavia, l’azienda avrebbe potuto rimanere a galla se non fosse stato per l’ubicazione: 24 ettari di terreno quasi al centro della città. Un bocconcino…

I lavoratori, da mesi senza stipendio hanno attuato uno sciopero della fame, ma le proteste non hanno impedito di vendere l’impianto pezzo per pezzo per una miseria. La fabbrica è stata rottamata per diverse centinaia di milioni di rubli.

L’impianto è stato definitivamente chiuso nel 2009. Le officine sono state barbaramente smantellate: tutto, dai ponti gru ai cavi è stato asportato. Ancora oggi, sul territorio dell’azienda si può vedere un triste paesaggio: finestre rotte, tetti delle ex officine sfondati, e con cumuli di rifiuti ovunque.

Secondo gli esperti nel campo immobiliare industriale, la possibilità di far rivivere l’impianto è perduta per sempre. Inoltre, su una parte del suo territorio sono già stati costruiti dei grattacieli. E i cittadini di Voronezh devono acquistare attrezzature importate.

E a Nizhny Novgorod nel 2015, alla vigilia del suo centenario, la fabbrica di indumenti «Маяк (Faro)» di Nizhny Novgorod ha chiuso. Sia in epoca sovietica che all’inizio degli anni 2000, era tra le prime dieci aziende di abbigliamento del paese. Da qui mandavano i vestiti a Mosca, quelli per gli Urali, provenivano da contratti stipulati con l’estero.

Dalla fine degli anni ’90, la fabbrica ha iniziato a morire. La proprietà ha venduto le sue attrezzature uniche e affittato lo spazio. Così la fabbrica di indumenti «Маяк (Faro)» di Nizhny Novgorod è diventata un’altra riga nella storia del crollo dell’industria sovietica.

Da che parte stavano Pjatakov e Radek?

 

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Di Daniele Burgio

Relazione tenuta dal compagno Daniele Burgio durante l’affollata assemblea di presentazione del libro “Il volo di Pjatakov. La collaborazione tattica tra Trotskij e i nazisti” tenutasi il 28 febbraio presso il Centro culturale Concetto Marchesi di Milano.

Passiamo ora, a un’altra questione: e cioè stabilire da che parte politica stavano Pjatakov e Radek, nel 1931-1936.

Si tratta di una domanda fondamentale per decidere sulla veridicità e sulla realtà del volo di Pjatakov/colloquio clandestino di quest’ultimo con Trotskij, nel dicembre del 1935 e in Norvegia.

Ora, senza nessun dubbio Pjatakov e Radek erano stati trotzkisti, anzi alti dirigenti della corrente politica trotzkista in Unione Sovietica dal 1923 al 1927: ma dopo rientrarono nel partito e si posero apertamente di fianco a Stalin, sia Pjatakov (dall’inizio del 1928) sia Radek (dal luglio del 1929).

Se Pjatakov e Radek non fossero stati in alcun modo ivi compreso quello epistolare e della lettera, in contatto con Trotskij nel 1931, nel 1932, nel 1933, nel 1934, nel 1935, nel 1936, la questione del volo di Pjatakov sarebbe risultata decisamente a favore di Trotskij e contro Stalin.

Risulta infatti subito chiaro che se Pjatakov e Radek fossero stati realmente e senza soluzione di continuità, a partire dal 1929 e fino al dicembre 1935, degli stalinisti e dei concreti nemici di Trotskij, come sostenne quest’ultimo con forza, svanirebbe inevitabilmente qualunque motivo plausibile per un loro ipotetico incontro in Norvegia con il leader della costituenda Quarta Internazionale. E viceversa, se risultasse invece che Radek e Pjatakov fossero tornati realmente ad essere, nel 1932-1936, dei dirigenti dell’organizzazione clandestina trotskista operante in Unione Sovietica, i due personaggi in esame avrebbero invece sicuramente avuto una predisposizione mentale e politica completamente favorevole nei confronti di un loro eventuale incontro diretto con il loro leader in esilio: sempre dovendo tener conto dei rischi politici e personali derivanti da un eventuale colloquio segreto, certo, ma con l’ottica di desiderare, volere e agognare una loro discussione ravvicinata, personale e “viso a viso” con Trotskij.

Lo stesso discorso vale ovviamente anche per Trotskij: attuare un incontro segreto con Pjatakov sarebbe stato assurdo, se quest’ultimo fosse stato davvero un suo nemico politico e uno stalinista a partire dal 1928, ma viceversa tale azione diventava perfettamente comprensibile, razionale e allo stesso tempo desiderabile nel dicembre del 1935, se Pjatakov fosse invece risultato uno dei leader dell’organizzazione clandestina trotzkista attiva nell’Unione Sovietica stalinista del 1932-36.

Siamo pertanto in presenza di un punto assai importante per la nostra indagine storica rispetto al quale la traccia concreta e la prova fondamentale, come nel caso di Linköping, ci viene fornita sempre per il tramite di Trotskij che, per la seconda volta, tradisce e autodistrugge involontariamente le sue stesse posizioni negazioniste sul volo di Pjatakov procurandoci una clamorosa “pistola fumante”, attraverso un inconfutabile documento del 1932.

Archivi Trotskij di Harvard, classificazione sotto “18 Trotskij Papers, 15821, seq. 17”, nella sezione dedicata alle ricevute delle lettere spedite da Trotskij e dai suoi collaboratori ad altri soggetti, persone o organizzazioni politiche: quindi una fonte sicura, per la “seconda versione” che nega l’esistenza del volo di Pjatakov e del suo colloquio segreto con Trotskij, da cui emerge una ricevuta di spedizione estremamente interessante.

In un piccolo segmento dell’estesa raccolta di lettere e scritti elaborati via via da Trotskij sono apparse al pubblico, grazie a un accurato saggio elaborato dallo storico John A. Getty nel 1986, le ricevute delle lettere spedite nel 1932 dal leader in esilio della Quarta Internazionale a Sokolnikov (un membro dell’Opposizione di sinistra, ancora legale all’interno del partito bolscevico nel biennio 1926/1927), a Preobrazensky (un leader della frazione trotzkista del 1923-1927, durante la prima fase della lotta contro la nascente egemonia di Stalin) e soprattutto a Karl Radek.

Troviamo quindi una nuova sorpresa e un nuovo colpo di scena, dopo Linköping.

Proprio dagli insospettabili archivi Trotskij di Harvard emerge un fatto clamoroso, con materiale probatorio scritto (come richiesto giustamente dallo stesso Trotskij nell’aprile del 1937, di fronte alla commissione Dewey): abbiamo infatti a disposizione la ricevuta di una lettera spedita in segreto a Ginevra nel marzo del 1932 da Trotskij (già in esilio, a partire dal 1929) a Karl Radek, residente invece di solito in Unione Sovietica, oltre che le ricevute di altre sue missive spedite nel 1932 a Preobrazensky e ad altri cittadini sovietici. Lettere segrete inviate nel 1932 da Trotskij a Karl Radek, a Preobrazhensky e altri soggetti: fatti sicuri e inequivocabili, che costituiscono quindi una prova certa sui reali rapporti politici esistenti tra Trotskij da un lato, e Radek e Pjatakov dall’altra nel periodo 1932-36.

Per quanto riguarda la lettera inviata da Trotskij a Radek, essa era stata spedita nel marzo del 1932 con cura e attenzioni speciali a quest’ultimo anche attraverso gli uffici postali di Parigi e Ginevra tramite il signor “Molinier”: e proprio i due fratelli Molinier, Raymond e Henry, risultavano all’inizio del 1932 tra i principali dirigenti dell’organizzazione trotzkista operante in terra francese, a cui allora Trotskij concedeva la sua fiducia politica e che si dimostreranno assai utili a quest’ultimo anche sul piano logistico e materiale nel 1933-35, quando Trotskij rimase legalmente e per quasi due anni in Francia.

A questo punto andiamo al nocciolo della questione, cioè all’importanza che assume la ricevuta della lettera spedita da Trotskij a Radek nel 1932 rispetto al volo di Pjatakov.

Su questo aspetto lascio volentieri la parola proprio all’insospettabile testimone (insospettabile per gli antistalinisti) Trotskij. Quest’ultimo ci fornisce dell’altro materiale probatorio scritto, visto che già il 27 gennaio del 1937, come si è già ricordato in precedenza, Trotskij stesso si rivolse ai mass-media internazionali, oltre che agli stessi giudici del processo di Mosca del gennaio del 1937, proclamando solennemente che “Io ho dichiarato più di una volta, e lo dichiaro ancora, che Pjatakov, come Radek, per gli ultimi nove anni” (quindi come minimo dal 1929) “non è stato mio amico ma uno dei miei nemici più feroci e infidi, e che non ci sarebbe potuto essere alcuna negoziazione o incontri tra noi”.

Un’affermazione che non lascia spazio ad alcun dubbio o malinteso, quella espressa da Trotskij il 27 gennaio del 1937.

Queste chiarissime ed inequivocabili parole di Trotskij riprese e ripetute tra l’altro nell’aprile del 1937 davanti alla commissione Dewey, hanno un solo ed unico significato: egli negò recisamente e senza mezzi termini di aver avuto alcun tipo di rapporto con Pjatakov e Radek dopo il 1928, oltre a rivelare allo stesso tempo come Pjatakov e Radek, sempre dopo il 1928, fossero ormai diventati tra i suoi “più feroci e infidi nemici”, con i quali risultava quindi fuori discussione, impossibile e assurdo tenere “negoziati” politici e incontri di alcun genere, in Norvegia o in altri posti. Siamo pertanto in presenza di tre tesi inequivocabili, tra l’altro rese per iscritto e ripetute più volte nel corso del 1937 dallo stesso Trotskij, ossia da una fonte sicura per la “seconda versione” che nega l’esistenza del volo/colloquio di Pjatakov.

Secondo Trotskij, in altri termini, egli non aveva avuto alcun rapporto politico e umano con Pjatakov e Radek, sia in modo diretto che sotto forma epistolare, nel 1929.

Nel 1930.

Nel 1931.

Nel 1932.

Nel marzo del 1932.

Nel 1933 e cosi via, fino ad arrivare al 1938.

Ma non solo: nel 1937 Trotskij dichiarò che, almeno a partire dal 1929 e senza alcuna interruzione, ivi compreso quindi il marzo 1932, Pjatakov e Radek erano diventati suoi nemici politici fino ad arrivare senza soluzione di continuità al gennaio del 1937.

Non solo: alla fine della terza sessione della commissione Dewey, Trotskij arrivò altresì a dichiarare, che dalla fine del 1929 “egli” (Radek) “era diventato la più odiosa figura per l’Opposizione di sinistra” (ossia per i trotzkisti) “perché egli non era solo un capitolatore” (di fronte a Stalin) “ma un traditore”.

A questo punto, mettiamo in contatto e facciamo “incontrare” reciprocamente tutte le dichiarazioni rese da Trotskij, il 27 gennaio 1937 e nell’aprile del 1937 davanti alla commissione Dewey, con la ricevuta scritta della lettera spedita proprio da Trotskij e proprio a Karl Radek nel 1932: l’effetto risulta sicuramente devastante e clamoroso, sia a livello generale che per la questione dell’esistenza del volo di Pjatakov.

In primo luogo la concreta e indiscutibile ricevuta della lettera spedita da Trotskij a Radek all’inizio del 1932 dimostra subito che Trotskij mentì spudoratamente durante la tredicesima sessione della commissione Dewey, quando egli qualificò come “presunta” e quindi inesistente la – invece reale e concretissima – missiva da lui stesso inviata a Karl Radek all’inizio di marzo del 1932: siamo quindi in presenza di una e gravissima menzogna da parte di Trotskij e che viene rilevata senza ombra di dubbio proprio mediante gli archivi Trotskij di Harvard, attraverso quella ricevuta di spedizione della lettera del 1932 che tradisce involontariamente Trotskij.

Simultaneamente emerge un elemento ancora più importante, per la nostra indagine storica: come risulta fin troppo evidente, la ricevuta scritta della lettera spedita clandestinamente da Trotskij a Radek nel 1932 mostra infatti che Trotskij mentiva clamorosamente anche quando sosteneva di non aver avuto più rapporti di alcun tipo con Radek/Pjatakov dopo il 1928, ossia anche quando egli rilevava che questi ultimi erano divenuti dopo il 1928 “tra i suoi più accaniti e feroci nemici”.

A persone con cui davvero non si ha più, dal 1929 fino al 1936, alcun rapporto umano e politico, non si spediscono lettere, né tantomeno lettere segrete come quella invece inviata da Trotskij a Radek nel 1932 (e di cui ci resta solo la ricevuta di spedizione); e tantomeno si indirizzano delle missive clandestine a persone che sono diventate tra i nostri “più accaniti e perfidi nemici”; e tantomeno si mandano lettere segrete a persone che si valutano come dei “disertori” della propria causa, come almeno a suo dire Trotskij considerava Radek sia nel 1929 che nel 1937 (terza sessione della commissione Dewey); e ancora meno si inviano delle missive confidenziali a persone che si considerano addirittura dei “traditori” della propria causa politica, come almeno in pubblico Trotskij valutava Radek dalla fine del 1929 fino al 1937, sempre secondo le dichiarazioni rese dal leader della Quarta Internazionale durante la terza sessione della commissione Dewey.

Detto in altri termini, Radek costituiva l’ultima persona al mondo a cui Trotskij avrebbe dovuto spedire nel marzo del 1932 una lettera, sempre in assenza di un ritorno del primo a un atteggiamento favorevole alla costituenda Quarta Internazionale e alla lotta segreta contro Stalin.

L’invio nel corso del 1932 di una missiva segreta, e con mezzi clandestini, a una persona come Radek ancora operante di regola nell’URSS stalinista di quel tempo, attraverso come minimo un certo sforzo materiale e un certo margine di rischio per il “postino” clandestino che doveva recapitare lo scritto di Trotskij a Radek, costituisce pertanto un atto concreto che può essere spiegato solo ed esclusivamente con l’esistenza all’inizio del 1932 di una relazione speciale di affinità politica tra i due soggetti in esame, complicità che demolisce ovviamente le tesi avanzate da Trotskij il 27 gennaio del 1937.

La ricevuta di spedizione della lettera spedita da Trotskij a Radek prova pertanto con assoluta sicurezza la grande menzogna del leader della Quarta Internazionale rispetto ai suoi reali rapporti con Radek, mostrando innanzitutto che Trotskij aveva (eccome se aveva!) “rapporti” con Radek dopo il 1928, e più precisamente a partire dall’inizio del 1932.

Dimostra altresì che per Trotskij, sempre a partire dal 1932, Radek risultava tutt’altro che un “nemico accanito e feroce”, ma altresì un referente politico importante nella lotta politica antistalinista, anche se costretto (per celare il suo doppiogioco rispetto a Stalin) a professare pubblicamente fedeltà al leader georgiano e a criticare in modo durissimo proprio Trotskij, anche nel 1932-36.

Attesta altresì che sia Radek, tornato via via alla militanza trotzkista nel corso del 1932, sia Trotskij avevano una predisposizione favorevole e un movente generale di natura politica per incontrarsi tra loro, nel 1932 come nel 1935 e nel dicembre del 1935.

La ricevuta di spedizione del 1932 fa inoltre cadere subito a zero il grado di attendibilità della testimonianza di Trotskij, rispetto alla sua tesi di non aver incontrato Pjatakov nel dicembre del 1935 nei pressi di Oslo: l’esistenza concreta e materiale della ricevuta, assieme alla “misteriosa” sparizione della lettera di Trotskij a Radek di cui essa attesta in modo indiscutibile la realtà, comportano inevitabilmente che Trotskij risulti come minimo un testimone inaffidabile anche rispetto agli eventi del dicembre del 1935.

 

La bufala dei 100.000 fucilati dall’NKVD nell’Ucraina occidentale nel 1941

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Di Luca Baldelli

Tra il miliardo di persone sterminate dai senzadio kumunisti sovietici guidati dall’uomo più malvagio della storia, trova posto la narrazione dei 100.000 fucilati nell’Ucraina occidentale nei giorni immediatamente seguenti all’invasione tedesca.
Naturalmente l’incipit è ironico, per la comprensione del significato della parola ironia si veda l’Enciclopedia Trec:cani a questo URL:
Ultima cosa. Da qualche tempo siamo soliti abbinare qualche immagine sia alla presentazione sui social che all’interno, ai nostri articoli, questa volta non lo facciamo per non alimentare, in questo caso si tratterebbe di pornografia dell’orrore, questo feticismo dell’immagine.
Comunque immagini ce ne sarebbero e si potrebbero ritrovare agevolmente nella rete; riguardano gli innominabili massacri perpetrati in quelle terre dai nazisti e dai loro servi, i nazionalisti ucraini.

La bufala dei 100.000 fucilati dall’NKVD nell’Ucraina occidentale nel 1941

La bufala di Stalin che consegnò i comunisti ad Hitler

La bufala di Stalin che consegnò i comunisti ad Hitler

I 5 MAESTRI

Di Luca Baldelli

Una delle più grandi bugie diffuse dalla propaganda antisovietica ed antistalinista in particolare, è quella dell’intesa Hitler-Stalin, che sarebbe stata cementata dal patto Ribbentrop-Molotov. Sembra ironia e barzelletta dover spiegare che chi distrusse il nazismo non può esser certo stato alleato di chi lo creò, eppure nel mondo borghese e capitalista succede di tutto, non a caso la droga e le sue intossicazioni sono frutto precipuo di questo mondo.

L’Urss riuscì, con quel patto sopra richiamato, ad ottenere tempo e modo per preparare la difesa contro l’assalto delle orde hitleriane, e questo dopo che le Nazioni occidentali “capitalistico-borghesi” e “liberali” avevano a più riprese rifiutato l’idea staliniana di un’alleanza antinazifascista europea e planetaria, pretendendo che l’Urss schierasse l’Esercito da sola e da sola si sacrificasse per tutti, istigando la Polonia (che tutto era meno che una Nazione pacifica) a sabotare ogni possibile intesa con l’Unione Sovietica, (vedasi qui) consegnando ad Hitler la Cecoslovacchia e la sua sovranità su un piatto d’argento, affinché un domani rivolgesse le sue armate contro il primo Stato mondiale degli operai e dei contadini. Da tutti questi bei pulpiti si è parlato e si parla di “alleanza” fra Hitler e Stalin, si sono inventate e si inventano storielle buone solo per i gonzi, si è cercato e si cerca di inquinare i cervelli e le coscienze. Si è così creata a tavolino la storia dei “protocolli segreti” del Patto Ribbentrop-Molotov, dei quali abbiamo già parlato (rimando al mio saggio: IL PATTO MOLOTOV – RIBBENTROPP. VERO PATTO, FINTI PROTOCOLLIIL PATTO MOLOTOV – RIBBENTROPP. VERO PATTO, FINTI PROTOCOLLI), e si è pure tentato di far passare, con documenti sempre fasulli o scientemente distorti, l’idea di un’intesa tra NKVD e GESTAPO per gestire la partita degli “oppositori”, con le relative deportazioni ed i relativi “trasferimenti” da una Nazione all’altra di personaggi “scomodi” da internare.

Bugie invereconde, costruite su pezzi di carta oscenamente taroccati. Il principale tra essi, riguarda la presunta firma, a Mosca, in data 11 novembre 1938, di un patto tra il capo della GESTAPO (sic!) Heinrich Muller ed il responsabile per l’NKVD (sic!) Stepan Solomonovic Mamulov. Ai sensi di tale intesa, anteriore persino al Patto di non aggressione, i due organi di sicurezza si sarebbero scambiati informazioni su argomenti, persone e movimenti di reciproco interesse, adottando poi adeguate misure di volta in volta stabilite, come la consegna di comunisti tedeschi nelle mani della GESTAPO. Una falsificazione filologicamente maldestra, per chi mastica un po’ di storia e si prende la briga di andare a confrontare fonti e documenti: ora, nel documento la GESTAPO è indicata come “Direzione generale per la sicurezza dello NSDAP (il Partito nazionalsocialista, ndr)”, quando tale denominazione nemmeno esisteva e la GESTAPO era null’altro che la Polizia segreta di Stato (Geheime Staatspolizei), organo dell’apparato statale e non del Partito.

Non solo: Muller, nel giorno 11 novembre 1938, come testimoniano documenti inoppugnabili, si trovava non a Mosca a firmare l’inesistente accordo, ma in Germania a compiere la ricognizione dei danni arrecati dalla Notte dei Cristalli, il pogrom antiebraico al quale non furono estranei agenti provocatori da una parte e dall’altra. Quanto a Mamulov, nel 1938 era responsabile (udite udite!) del Dipartimento agricoltura del VK(b)P della Georgia; solo il 3 gennaio del 1939 avrebbe scalato i vertici della NKVD. Nel 1938, poteva firmare al massimo documenti riguardanti fertilizzanti e capi di bestiame, non certo documenti come quello costruito a tavolino dai falsificatori professionisti. Sulla base di questa patacca, (vedasi Accordo tra Gestapo e NKVD), si è esibito in pompa magna tutto un coro di pseudostorici, memorialisti, personaggi anche con un passato nobile, ma con un presente non altrettanto di…qualità. Tutti impegnati a dimostrare, senza un documento dettagliato che sia uno, senza un elenco di nomi uscito da archivi che si possano definire tali, senza il minimo riscontro, che Hitler e Stalin si sono scambiati prigionieri.

Possiamo certamente annoverare, tra i memorialisti che non ce l’hanno raccontata giusta, Margarete Buber-Neumann (1901- 1989). Ella, nella sua opera Prigioniera di Stalin ed Hitler (tradotto in Italia ed uscito per i tipi de “Il Mulino”, nel 1994) racconta delle sue peripezie e del suo internamento nel lager di Ravensbruck, dopo la sua consegna alla GESTAPO nel 1940, ad opera dell’NKVD. Ebbene, chi era Margarete Buber-Neumann? Attivista comunista sin dall’età di 20 anni, sposata in prime nozze con il figlio del grande filosofo ebreo Martin Buber, divorziò negli anni ’20 risposandosi poi con Heinz Neumann, rampollo di una famiglia borghese e comunista anch’egli.

Nel KPD, Neumann rappresentava l’ala più settaria e dogmatica, impegnata più a sabotare gli sforzi per un vasto fronte antinazista, in nome di un’impossibile autosufficienza, che a combattere l’avvento della peste bruna. Questo atteggiamento, speculare a quello rinunciatario e codardo dei socialtraditori della socialdemocrazia di destra, sarebbe costato molto alla Germania. Fuggiti dalla Germania con l’avvento di Hitler, Margarete Buber (nata Thuring) ed Heinz Neumann ripararono prima in Spagna, poi in Svizzera, quindi, cacciati dalle elvetiche contrade (sempre molto poco solidali con i comunisti e gli antifascisti veri, specie quando non portavano denari nelle banche…), in Unione Sovietica.

Qui Neumann sarebbe stato arrestato nel 1937, condannato a morte e giustiziato, mentre la sua compagna sarebbe stata deportata in un Gulag presso Karaganda (Kazakhstan). Questo, stando ai racconti ufficiali, poiché abbiamo visto, ad esempio per l’italiano Guarnaschelli, (Roma a Mosca: lo spionaggio fascista in URSS e il caso Guarnaschelli di Giorgio Fabre), che la fucilazione data per certa in alcuni documenti non ci fu mai, essendo il rifugiato in questione deceduto di morte naturale. Ad ogni modo, dando per buone le risultanze delle quali disponiamo, Neumann tutto fu meno che un perseguitato: nel 1932, dopo che l’Internazionale comunista aveva già condannato il suo gruppo di accoliti come settario e lontano da ogni applicazione delle direttive generali, Kaganovic scrisse a Stalin riguardo alle diversioni di questa schiera, ma il Piccolo Padre, comunque, ricercò pazientemente il dialogo anche con il Bordiga tedesco, incontrandolo a Soci nell’estate di quell’anno (vedasi lettera di Kaganovich a Stalin). Fu un dialogo tra sordi, ma nessuno può dire che, da parte di Stalin, non vi fu buona disposizione ad ascoltare le ragioni altrui. Il fatto è che Neumann, che era ostile in maniera viscerale al grande combattente antifascista e vera guida dei comunisti tedeschi, Ernest Thalmann, non sentì ragioni e proseguì sul suo sentiero distruttivo.

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Ernst Thalmann

Nel 1934, stabilitosi a Mosca, cercò in ogni modo di seminare zizzania nel gruppo dirigente bolscevico ed in quello dell’Internazionale, attirandosi strali e sospetti che, poi, sfociarono nel suo arresto e nella sua eliminazione, nel 1938. Ora, rispetto alla “purga” del 1937/38, molto si è scritto, ed è sempre più chiaro che, in gran parte, fu un’azione efficace nell’eliminare quinte colonne e sabotatori, non fece milioni di morti, fu strumentalizzata, in alcuni casi, da settori trockisti, zinovevisti e bukhariniani per infangare Stalin e creare malcontento. Non a caso, poi l’implacabile giustizia sovietica colpì chi si era fatto scudo con l’esigenza di ripulire il Paese dalle spie e dai criminali per consumare vendette o per destabilizzare il sistema. Non sappiamo molto della sorte di Neumann e della fondatezza dei capi d’accusa su di lui pendenti, ma certamente con i suoi comportamenti e con la sua contiguità ad ambienti e gruppi che sotto sotto simpatizzavano per l’Asse, quando non lo facevano in maniera aperta (si veda l’atteggiamento tenuto da Bordiga, e lo si veda in una fonte al di sopra di ogni sospetto: https://www.avvenire.it/agora/pagine/bordiga- ) non gli giovò di certo.

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Amadeo Bordiga

La sua compagna Margarete è un altro enigma, da questo punto di vista: ella ha raccontato di essere stata deportata dall’NKVD e di esser stata poi consegnata alla GESTAPO. Ora, a parte che se fosse stata davvero scomoda e se i Gulag fossero stati quelli che ha raccontati, certamente non sarebbe sopravvissuta, c’è anche da chiedersi per quale motivo reale fu consegnata alla Germania. Stalin protesse tutti i comunisti tedeschi riparati in Urss, altro che consegne e patti con la GESTAPO!

Questa è la storia e riguarda, direttamente o indirettamente, tra gli altri, Misha Wolf e Walter Ulbricht, due nomi non proprio secondari nel panorama comunista tedesco… Abbiamo però notizia di comunisti tedeschi che, invischiati a torto o a ragione in trame eversive nel 1937/38, presi di mira dalla NKVD (alcuni erano spie ed infiltrati fascisti sul serio, come testimoniano anche vicende di italiani chiarite dai documenti desecretati), chiesero ad un certo punto di essere rimpatriati. Ne fa fede un documento, nel quale due comunisti tedeschi, sui quali aleggia ben più che il sospetto di essere state spie naziste, chiesero la protezione dell’ambasciata tedesca per venir rimpatriati senza scontare le pene irrogate dalla giustizia sovietica. I loro nomi: Fritz Baltes e Fritz Vinter. Nessuno di loro, rimpatriato, avrebbe fatto un giorno di lager. Strana storia, per dei comunisti nella Germania di Hitler…

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Sulla Buber-Neumann, non possiamo dire altrettanto. Non vi sono prove di una sua attività a favore della GESTAPO, ma certamente vi sono elementi inquietanti: costei venne rimpatriata e, nel lager, diventò la segretaria particolare della SS Johanna Langefeld, supervisora di ben tre campi di concentramento (Auschwitz, Ravensbruck, Lichtenburg) e svolse servizi per la multinazionale Siemens, legata a doppio filo con il sistema militare-industriale del Reich. Un curriculum un po’ particolare, per una pericolosa comunista… Una comunista che sopravvive ed ottiene anzi incarichi, mentre attorno a sé le donne antifasciste e comuniste più pericolose e combattive cadono sotto ai colpi delle SS e delle malattie endemiche nel sistema concentrazionario (vedasi Buber-Neumann, Margarita e il libro della Buber-Neumann summenzionato): non solo la sua vecchia protettrice, la SS sadica e cinica Lagenfeld, la va a trovare e le racconta particolari e vicissitudini legati al lager, nel quale Grete aveva anche avuto un ruolo nel selezionare prigionieri ed era pure stata punita, successivamente, per vendetta, quando l’astro della Lagenfeld era declinato (vedasi Il cielo sopra l’inferno), ma la Buber-Neumann stessa, in prima persona, prende parte a tutte le crociate anticomuniste ed antisovietiche più chiassose, dal processo Kravchenko (sul quale ci soffermeremo in futuro), trionfo delle bufale antisovietiche sull’holodomor ed altre nefandezze inventate, alla militanza nel Congresso o Associazione per la libertà della cultura, creatura della CIA, come bene ha dimostrato uno studio condotto da Frances Stonor Saunders, La guerra fredda culturale

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Ad ogni passo, l’ombra delle centrali anticomuniste, dei centri bellicisti antisovietici, va di pari passo con Margerete Buber-Neumann. Colei che ha diffuso, se non per prima in assoluto, per prima con maggiore evidenza, forza e capacità di penetrazione mediatica, il mito dell’accordo tra NKVD e GESTAPO, dello scambio di prigionieri tra Hitler e Stalin. Proprio lei, che nel lager era segretaria di quello zuccherino di Johanna Lagenfeld.

 

L’ “Holodomor” e il film “Bitter Harvest” sono bugie fasciste

L’ “Holodomor” e il film “Bitter Harvest” sono bugie fasciste

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Di Grover Furr

Traduzione di Guido Fontana Ros

FONTE

(nota dell’Autore: in questo articolo ricorro largamente alle prove citate nelle ricerche di Mark Tauger dell’University of West Virginia. Tauger ha trascorso la sua vita professionale studiando l’agricoltura e le carestie russe e sovietiche. E’ un’autorità mondiale riguardo a questi soggetti e è cordialmente odiato dai nazionalisti ucraini e in genere dagli anticomunisti in quanto le sue ricerche mandano in briciole le loro falsificazioni.)

La pellicola nazionalista ucraina “Bitter Harvest” diffonde le bugie inventate dai nazionalisti ucraini. In questa recensione Louis Proyect diffonde anche lui queste menzogne.

Proyect cita un articolo del 1988 comparso su Village Voice a firma di Jeff Coplon: In Search of a Soviet Holocaust: A 55-Year-Old Famine Feeds the Right.

In questo articolo Coplon evidenziava che i maggiori esperti di storia sovietica appartenenti alla corrente dominante respingevano ogni nozione che una deliberata carestia possa essere stata perpetrata contro gli ucraini. Lo fanno tuttora. Proyect dimentica di menzionare questo fatto.

Ci fu una grave carestia in URSS che includeva (ma non solo) la repubblica socialista dell’Ucraina negli anni 1932-33, ma non c’è mai stata alcuna prova di un “Holodomor” o di una carestia “pianificata” e non ce n’è alcuna neanche adesso.

L’invenzione dell’ “Holodomor” fu escogitata dai collaborazionisti ucraini che trovarono rifugio nell’Europa Occidentale, in Canada e in USA dopo la guerra. Un primo racconto è quello di Yurij Chumatskij: Why Is One Holocaust Worth More Than Others? che fu pubblicato in Australia nel 1986 da “veterani dell’esercito insurrezionale ucraino”; quest’opera è un attacco vero e proprio ai “giudei” per essere troppo favorevoli al comunismo.

La recensione di Proyect contribuisce a perpetuare le seguenti falsità sulla collettivizzazione sovietica dell’agricoltura sulla carestia degli anni 1932-33:

  • Che i contadini resisterono alla collettivizzazione  principalmente perché era una “seconda servitù della gleba”.
  • Che la carestia fu causata dalla collettivizzazione forzata. In realtà la carestia ebbe cause ambientali.
  • Che “Stalin” vale a dire la dirigenza sovietica crearono intenzionalmente la carestia.
  • Che fu concepita per distruggere il nazionalismo ucraino.
  • Che “Stalin” (il governo sovietico) “arrestò la politica di ucrainizzazione cioè la promozione di una politica per incoraggiare l’uso della lingua ucraina e la diffusione della cultura ucraina.

Nessuna di queste affermazioni è vera. Nessuna è supportata da prove storiche. Sono semplicemente asserzioni di fonti nazionalistiche ucraine create col proposito di fornire una giustificazione ideologica alla loro alleanza con i nazisti e alla loro partecipazione all’Olocausto ebraico, al genocidio degli ucraini polacchi (i massacri in Volinia degli anni 1943-44) e dell’assassinio di ebrei, comunisti e di molti contadini ucraini dopo la guerra.

Il loro fine ultimo è quello di equiparare il comunismo con il nazismo (il comunismo è attualmente fuorilegge nell’Ucraina “democratica”), l’URSS con la Germania nazista e Stalin con Hitler.

La collettivizzazione dell’agricoltura – La realtà

La Russia e l’Ucraina hanno sofferto gravi carestie ogni pochi anni per oltre un millennio. Una carestia accompagnò la Rivoluzione del 1917, diventando più seria nel 1918-1920. Un’altra grave carestia, chiamata “la carestia del Volga”, colpì dal 1920 al 2121. Ci furono carestie nel 1924 e di nuovo nel 1928-29, quest’ultima particolarmente grave nella repubblica socialista ucraina. Tutte queste carestie avevano cause ambientali. Il metodo medievale di coltivazione dell’agricoltura contadina rendeva impossibile un’agricoltura efficiente e le carestie inevitabili.

I leader sovietici, tra cui Stalin, decisero che l’unica soluzione era riorganizzare l’agricoltura sulla base delle grandi fattorie di tipo industriale come quelle del Midwest americano, che furono prese intenzionalmente a modello. Quando i sovzhozy o “fattorie sovietiche” sembrarono funzionare bene, la leadership sovietica prese la decisione di collettivizzare l’agricoltura.

Contrariamente alla propaganda anticomunista, la maggior parte dei contadini accettò la collettivizzazione. La resistenza fu modesta; gli atti di ribellione totale rari. Nel 1932 l’agricoltura sovietica, compresa quella della repubblica ucraina, fu in gran parte collettivizzata.

Nel 1932 l’agricoltura sovietica fu colpita da una combinazione di catastrofi ambientali: la siccità in alcune zone, troppa pioggia in altre, attacchi di ruggine e fuliggine (malattie fungine) e infestazioni di insetti e topi. Il diserbo venne trascurato, i contadini si indebolirono, riducendo ulteriormente la produzione.

La reazione del governo sovietico cambiò quando la dimensione del fallimento del raccolto divenne più chiara durante l’autunno e l’inverno del 1932. Credettero che la cattiva gestione e il sabotaggio fossero le cause principali del magro raccolto, il governo rimosse molti dirigernti del Partito e delle fattorie collettive (a questo riguardo non è provato che qualcuno sia stato “giustiziato” come capita a Mykola nel film). All’inizio del febbraio del 1933 il governo sovietico iniziò a fornire enormi aiuti di grano alle aree della carestia.

Il governo sovietico organizzò anche ispezioni nelle fattorie contadine per confiscare il grano in eccesso per nutrire le città, che non producevano il proprio cibo. Inoltre intervenne per frenare la speculazione; durante una carestia il grano viene venduto essere a prezzi gonfiati. Nelle condizioni di una carestia non si poteva permettere un mercato libero del grano a meno che i poveri non fossero lasciati morire di fame, come succedeva sotto gli zar.

Il governo sovietico organizzò dipartimenti politici (politotdely) per aiutare i contadini nel lavoro agricolo. Tauger conclude:

“Il fatto che il raccolto del 1933 fosse molto più grande di quello del 1931-1932 significa che la politica del paese aiutò le fattorie a lavorare meglio.” (Modernisation, 100)

Il buon raccolto del 1933 fu consegnato a una popolazione considerevolmente più piccola, poiché molti erano morti durante la carestia, altri erano malati o indeboliti, e altri ancora erano fuggiti in altre regioni o nelle città. Ciò riflette il fatto che la carestia non fu causata da collettivizzazione, interferenze governative o resistenza contadina, ma da cause ambientali non più presenti nel 1933.

La collettivizzazione dell’agricoltura fu una vera riforma, una svolta nella rivoluzione dell’agricoltura sovietica. C’erano ancora anni di scarsi raccolti – il clima dell’URSS non cambiò. Ma, grazie alla collettivizzazione, ci fu solo un’altra carestia devastante nell’URSS, quella del 1946-1947. Il più recente studio di questa carestia, Stephen Wheatcroft, conclude che questa carestia venne causata dalle condizioni ambientali e dalle interruzioni della coltivazione causate dalle distruzioni della guerra.

Le false affermazioni di Proyect

Proyect ripete acriticamente la versione fascista autoassolutoria  della storia ucraina senza alcuna base reale.

  • Non esisté mai una “macchina stalinista  per uccidere”.
  • I funzionari incaricati del Partito non sono stati “epurati e giustiziati”.
  • “Milioni di ucraini” non sono stati condotti a “forza nelle fattorie statali e in quelle collettive”. Tauger conclude che la maggior parte dei contadini accettò le fattorie collettive e lavorò bene in esse.
  • Proyect accetta l’afermazione nazionalista ucraina di “3-5 milioni di morti premature”. Questo è falso.

Alcuni nazionalisti ucraini citano cifre di 7-10 milioni, al fine di eguagliare o superare i sei milioni dell’olocausto ebraico (cfr. Il titolo di Chumatskij “Why Is One Holocaust Worth More Than Others?“). Il termine “Holodomor” stesso (“holod” = “hunger”, “mor” dal polacco “mord” = “omicidio”, ucraino “morduvati” = “omicidio) è stato deliberatamente coniato per sembrare simile a “Olocausto”.

L’ultimo studio scientifico sulle morti per carestia parla di 2,6 milioni di vittime (Jacques Vallin, France Meslé, Serguei Adamets e Serhii Pirozhkov, “Una nuova stima delle perdite della popolazione ucraina durante le crisi degli anni ’30 e ’40“, Population Studies 56, 3 (2002) : 249-64).

  • Jeff Coplon non è un “sindacalista canadese” ma un giornalista e scrittore newyorkese; il libro del defunto Douglas Tottle, Fraud, Famine and Fascism, una ragionevole risposta al fraudolento Harvest of Sorrow di Robert Conquest, fu scritto (così come il libro di Conquest) prima dell’inondazione dalle fonti primarie dagli archivi ex sovietici rilasciate alla fine dell’URSS nel 1991 e quindi è seriamente obsoleto.
  • L’affermazione di Walter Duranty circa “frittate” e “uova”  non fu fatta “in difesa di Stalin” come asserisce Proyect, ma come critica alla politica del governo sovietico:

Ma, per dirla alle spicce, non si può fare una frittata senza rompere le uova e i dirigenti bolscevichi sono proprio indifferenti alle perdite in cui eventualmente incappano  nel percorso verso la socializzazione proprio come un generale della Guerra Mondiale che ordinava un costoso attacco per mostrare ai suoi superiori che lui e la sua divisione possedevano il giusto spirito militare. In effetti i bolscevichi sono ancora più indifferenti poiché sono animati da una convinzione fanatica. (The New York Times March 31, 1933)

Evidentemente Proyect ha semplicemente copiato questa notizia infondata da qualche fonte nazionalista ucraina. Spazzatura in entrata, spazzatura in uscita.

  • Andrea Graziosi, che Proyect cita, non è uno studioso dell’agricoltura sovietica o della carestia del 1932-33, ma un anticomunista ideologico che asseconda qualsiasi falsità anti-sovietica. L’articolo che Proyect cita è dell’Harvard Ukrainian Studies, un giornale privo di ricerche obiettive, finanziato e curato da nazionalisti ucraini.
  • Proyect si riferisce a “due decreti segreti” del dicembre 1932 del Politburo sovietico che egli chiaramente non ha letto. Questi hanno fermato l'”ucrainizzazione” al di fuori della repubblica ucraina. All’interno della repubblica ucraina l’ “ucrainizzazione” ha continuato senza soste. Non è “finita” come sostiene Proyect.
  • Proyect non cita alcuna prova di una “politica sovietica volta alla distruzione fisica della nazione ucraina, in particolare della sua intellighenzia” perché non esisteva tale politica.

Un trionfo del socialismo

La collettivizzazione sovietica dell’agricoltura è una delle più grandi imprese della riforma sociale del XX secolo, se non la più grande di tutte, da mettere assieme alla “rivoluzione verde”, al “miracolo del riso” e alle imprese di controllo delle acque in Cina e negli Stati Uniti. Se i premi Nobel venissero assegnati anche per i risultati comunisti, la collettivizzazione sovietica sarebbe il miglior concorrente.

La verità storica sull’Unione Sovietica non è gradita non solo ai collaborazionisti nazisti, ma anche agli anticomunisti di ogni tipo. Molti che si considerano di sinistra, come i socialdemocratici e i trotskisti, ripetono le bugie dei fascisti dichiarati e degli scrittori apertamente pro-capitalisti (neretto del traduttore). Gli studiosi obiettivi della storia sovietica come Tauger, determinati a dire la verità anche quando questa verità è impopolare, sono fin troppo rari e spesso soffocati dal coro dei falsificatori anticomunisti.

Fonti

I libri frutto delle ricerche di Mark Tauger, in particolare “Modernization in Soviet Agriculture” (2006); “Stalin, Soviet Agriculture and Collectivization” (2006); e “Soviet Peasants and Collectivization, 1930-39: Resistance and Adaptation.” (2005), tutti disponibili su Internet. Altri articoli di Tauger sono disponibili in questa pagina:

https://www.newcoldwar.org/archive-of-writings-of-professor-mark-tauger-on-the-famine-scourges-of-the-early-years-of-the-soviet-union/

Vedasi anche il capitolo I del mio libro Blood Lies; The Evidence that Every Accusation against Joseph Stalin and the Soviet Union in Timothy Snyder’s Bloodlands Is False (New York: Red Star Press, 2013 a questa URL;

http://msuweb.montclair.edu/~furrg/research/furr_bloodliesch1.pdf

Sulla carestia del 1946-47 vedasi Stephen G. Wheatcroft, “The Soviet Famine of 1946–1947, the Weather and Human Agency in Historical Perspective.” Europe-Asia Studies, 64:6, 987-1005.